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La nostra Ingegneria è Diversa
Evoluzione di settore e azienda, networking Europeo, tecnologie e prospettive del futuro: questo e molto altro nell’intervista fiume con il Leader dell’Ingegneria Avio Aero, Giorgio Abrate.
Jan 2021
Si dice che il connubio tra abilità creative, sensibilità artistica e capacità analitiche, vocazione tecnico-scientifica rappresenti la forma mentis più ricercata nei moderni profili professionali. Dunque, doveva probabilmente essere un visionario chi, nel 1988, intervistò il giovane e brillante neoingegnere Giorgio Abrate per una posizione di Controls Engineer all’interno dell’azienda che allora portava il nome di Fiat Aviazione.
“Ho scelto Ingegneria Elettronica perché avevo la passione per l’alta fedeltà: sognavo di costruirmi da solo gli amplificatori. Alla fine del corso mi laureai con una tesi in bio-ingegneria e un giorno, per puro caso, incontrai il fantastico mondo dell’aviazione”. Abrate, come tanti suoi colleghi sanno, è anche un appassionato chitarrista, cultore di musica jazz e rock, ma per lui il destino aveva in serbo un’eccezionale carriera. Nei primi 13 anni in azienda, passò attraverso diversi ruoli di crescente responsabilità all’interno del dipartimento di Ingegneria FiatAvio, per poi spostarsi nell’area commerciale.
Poi, per altri tre anni, guidò lo sviluppo di programmi motoristici militari come Program Manager e, nel 2004, l'amministratore delegato di quella che nel frattempo venne rinominata Avio gli conferì l'incarico di General Manager Business Development & Strategy. Ricoprì tale ruolo per sette anni e si concentrò sulle tecnologie avanzate e sulle relative opportunità strategiche per l’azienda. In questo ruolo, guidò anche l’acquisizione di una start up che diventerà il primo sito additive manufacturing di Avio Aero. Proprio a Cameri nel 2013, in qualità di nuovo Engineering Leader, accolse un altro CEO, David Joyce, che all'epoca visitava per la prima volta le sedi italiane di Avio Aero, così denominata dal momento in cui divenne parte di GE Aviation.
Come compareresti dall’inizio della tua carriera a oggi, la presenza delle donne all’interno delle aziende industriali in generale e più nello specifico nei percorsi STEM?
"Ho imparato che la diversità serve a realizzare in modo completo il potenziale di una organizzazione e che in particolare la diversità di genere serve a creare un’organizzazione 'realistica' nel senso che rispecchia la realtà esterna con le sue sensibilità, attitudini, dinamiche e competenze. Quando ho frequentato il Politecnico, nel mio corso c’erano solo due ragazze. Oggi le cose sono cambiate e, ad esempio, nell’Ingegneria Avio Aero abbiamo il 17% di colleghe, situazione che purtroppo non rispecchia appieno la realtà del mondo esterno ma è la strada giusta. La sfida che dobbiamo vincere non è solo quella di assumere più donne, ma anche di valorizzarle e farle accedere sempre più a posizioni di impatto e influenza sull’organizzazione."
"La sfida che dobbiamo vincere non è solo quella di assumere più donne, ma anche di valorizzarle e farle accedere sempre più a posizioni di impatto e influenza sull’organizzazione"
Parlando di cambiamenti e trasformazioni, che traiettoria sta compiendo secondo te Avio Aero se la osservi a partire dal tuo ingresso nell’allora Fiat Avio ?
"È semplice: Avio Aero è diventata un sistemista… prima ci occupavamo di componenti o al massimo di interi moduli di un motore aeronautico. Adesso interagiamo con i velivolisti e siamo in grado di gestire l’intero sistema: prestazioni, integrazione, dinamica, installazione, costo del ciclo di vita, etc. Queste competenze migliorano anche il nostro lavoro tipico su componenti e moduli perché padroneggiamo meglio il contesto. Questa trasformazione ha coinvolto tutte le funzioni aziendali non solo ingegneria: ad esempio, i colleghi nel commerciale sono oggi in grado di offrire ai clienti globali una Power Gearbox così come un intero sistema propulsivo."
Quali sono i momenti in cui hai appreso maggiormente, ed eventualmente, c’è un programma motoristico più di un altro che ha lasciato più il segno nella tua carriera e perché?
"Il programma EJ200 è stata una grande opportunità per molti di noi… diciamo diversamente giovani! Nel mio caso, già da inizio carriera mi sono occupato dei controlli motore dell’EJ200 in sala prova e poi successivamente ho coordinato lo sviluppo di tutte le parti motore di nostra responsabilità. Macchiarsi la camicia con olio motore cercando di capire perché il motore non si avvia è una scuola che consiglierei a tutti."
Dal punto di vista di un ingegnere, come è cambiata la fabbrica e, in particolare, il lavoro degli ingegneri rapportato alla fabbrica?
"Il cambiamento è stato profondo soprattutto dal punto di vista culturale. Adesso siamo tutti consapevoli di avere un unico obiettivo condiviso: consegnare dei prodotti di qualità ai nostri clienti in modo profittevole per l’azienda. Se un bel progetto non è producibile o costa troppo, non centra l’obiettivo e quindi non può essere definito un bel progetto."
Il nuovo GE Catalyst ha rappresentato l’opportunità di tornare a dedicarsi a un intero sistema motore: cosa significa questo per l’azienda e per il vostro team?
"Il Catalyst ci ha permesso di diventare dei sistemisti e ci ha permesso di integrarci con i nostri colleghi europei: il team europeo di ingegneria conta oltre 2000 persone. Con queste nuove credenziali abbiamo accesso ad un nuovo ruolo in Europa: ne è un esempio lampante il programma di ricerca Europeo Clean Aviation (nome che ha sostituito Clean Sky). Per questo programma, invece di cercare di posizionarci al meglio nei dimostratori di altri motoristi, ci siamo dedicati in maniera attiva alla preparazione e ci siamo proposti come capofila in 4 progetti di dimostrazione tecnologica."
L’emergenza e conseguente crisi Covid-19 ha messo in ginocchio l’aviazione civile: cosa ne pensi della ripresa e soprattutto come credi cambierà il trasporto aereo di domani?
"Penso dipenda molto dall’impatto che saprà generare il vaccino nei prossimi mesi sia sul numero dei contagi, ma soprattutto sulla confidenza dei potenziali viaggiatori nella sicurezza del trasporto aereo. Gli esperti parlano di un ritorno ai livelli di traffico del 2019 solo nel 2025, ma tutti confidiamo in una ripresa significativa già alla fine del prossimo anno. Da ottimista, spero che il 2021 ci stupisca e che nella seconda metà ci metta in difficoltà con una domanda che supera la nostra capacità produttiva di parti di ricambio e magari anche di nuovi motori. Vedremo…"
La sostenibilità è una condizione vitale per il settore aeronautico, quali sono le tecnologie che vedi più prominenti e prossime a contribuire alla decarbonizzazione?
"Nel passato i motoristi sono stati determinanti nell’incremento di efficienza del trasporto aereo offrendo miglioramenti del 10-15% in ogni nuovo programma. Il velivolista aggiungeva poi delle modifiche di minor impatto come miglioramenti dell’aerodinamica dell’ala o riduzioni del peso tramite l’impiego di nuovi materiali. Tuttavia, la curva di miglioramento dei motori a turbina attuali, basati sul ciclo Brayton, si sta saturando ed è necessaria una discontinuità tecnologica: bisogna passare ad una nuova curva. Tale discontinuità non riguarderà più solo il motore, ma dovrà coinvolgere profondamente il velivolo. Infatti, le tecnologie che si stanno considerando oggi avranno quasi tutte un impatto molto esteso sull’architettura del velivolo."
Quali scenari intravedi all’orizzonte per i motori aeronautici del futuro?
"Proviamo a elencarne qualcuno: 1) Utilizzo carburanti sostenibili anche detti SAF derivati da biomasse solide, oli vegetali, piante, biologia sintetica, miscelati in varie proporzioni al cherosene. Al momento molto costosi a causa dei bassi volumi, ma presentano il vantaggio di un limitato impatto su architettura e componenti sia del motore che del velivolo.
2) Configurazione Open Rotor (già perseguita nel recente passato e oggi nuovamente attuale): questa è una configurazione che assomiglia ad un turboelica e pur permettendo di aumentare di molto l’efficienza del motore, presenta alcune complessità (come rumorosità ed installazione) da risolvere con il velivolista. Inoltre, è una configurazione che andrebbe combinata con cicli di funzionamento innovativi, con i SAF, o anche con un’ottimizzazione dell’estrazione di potenza dai due alberi motore tramite moto-generatori elettrici (tecnologia detta Micro-hybridization).
3) Propulsione distribuita abilitata da sistemi elettrici: qui il motore a turbina, oltre a fornire la spinta, dovrà anche alimentare dei generatori elettrici che trasmettono energia alle eliche distribuite sul velivolo per generare spinta, ma anche per diminuire la resistenza aerodinamica del velivolo e dunque la sua efficienza. È questo, per esempio, il concetto “dell’ala soffiata”, tecnologia sicuramente non nuova ma che può essere valorizzata dalla propulsione distribuita.
4) Propulsione a Idrogeno: In questo caso la turbomacchina brucia l’idrogeno invece del convenzionale cherosene. L’impatto sul motore è sicuramente non trascurabile, ma niente in confronto all’impatto sul velivolo che dovrà mantenere l’idrogeno allo stato liquido, tramite sistemi criogenici, e all’impatto che questa tecnologia avrà sugli aeroporti e sulla logistica del combustibile. Va considerato inoltre che l’idrogeno utilizzato da motori aeronautici – per garantire reali vantaggi di sostenibilità - dovrà essere prodotto tramite energie rinnovabili, cosa che ha un impatto notevole sulla filiera che dovrà essere creata ad hoc per questo scopo.
5) L’opzione di una propulsione totalmente elettrica, alimentata da batterie o da Celle Combustibile “ricaricate” con l’idrogeno, sembra al momento utilizzabile solo su un ristretto gruppo di piccoli velivoli ad ala fissa o rotante, a cause dell’impatto che questi sistemi hanno sul peso, mano a mano che si incrementa la dimensione dell’aeromobile e quindi si aumenta il requisito di spinta."
Parlando dell’impegno diretto di Avio Aero per la decarbonizzazione, dunque della membership in Clean Sky, come proseguirà questa sfida a livello Europeo?
"Lavoriamo da tanti anni insieme ai nostri partner universitari. Il progetto europeo Clean Aviation, interamente concentrato sulla sostenibilità del traffico aereo, partirà nel 2022. Le proposte Clean Aviation che abbiamo consegnato a Bruxelles il 30 Novembre dell’anno scorso interessano tutti questi temi di sostenibilità insieme ad altri più tradizionali benché fortemente innovativi. Il progetto più importante per cui ci siamo candidati in partnership con Safran e Airbus è il dimostratore di un sistema propulsivo “Open Rotor”, destinato a un velivolo a singolo corridoio che entrerà in servizio intorno al 2032. Inoltre, stiamo studiando con Leonardo Velivoli il sistema propulsivo del motore turboelica del futuro che pensiamo sarà ibrido-elettrico, e anche su questo tema abbiamo formulato una proposta."
"Empatia, capacità di collaborare, comunicare, dialogare con gli altri gestendo il proprio ego sono abilità su cui bisogna investire negli anni dell'università così come si investe sulla conoscenza dei coefficienti di trasmissione del calore o sulle trasformate di Laplace"
Il network di ricerca con università e centri specializzati, partito dall’Italia e oggi esteso all’Europa, è un fiore all’occhiello del tuo team, qual è a tal proposito la vostra visione per il futuro?
"Oggi abbiamo un network di 20 Università europee che lavorano con noi in 10 comunità tecnologiche usando le stesse regole di gestione della proprietà intellettuale, il risultato di uno sforzo enorme basato su 30 anni di lavoro e networking. Le nostre comunità sono focalizzate su tecnologie per noi prioritarie: dall’aerodinamica ai controlli, dai sistemi meccanici all’additive. Immagino un futuro in cui sappiamo utilizzare sempre di più e sempre meglio queste incredibili risorse intellettuali e sperimentali che possono fare la differenza in termini competitivi."
Se dovessi dare un solo importante suggerimento a un giovane che sta per cominciare il suo percorso universitario quale sarebbe?
"Quando sono stato assunto da Fiat 32 anni fa si parlava di competenze in termini di “sapere, saper fare e saper essere”. Quello che ho capito nella mia vita professionale è che il “saper essere” è altrettanto importante delle altre due componenti della competenza. L’empatia, la capacità di collaborare, comunicare, dialogare con gli altri gestendo il proprio ego sono abilità su cui bisogna investire negli anni dell'università così come si investe sulla conoscenza dei coefficienti di trasmissione del calore o sulle trasformate di Laplace. Questo suggerimento è a mio parere valido per qualunque percorso che parte dall’università."