Culture
Parole come ponti
Le sedi italiane di Avio Aero impegnate in una serie di incontri con un comune obiettivo, lavorare sulla capacità d’inclusione iniziando dal linguaggio al lavoro, come a casa o nell’ambiente sociale.
Oct 2022
Le persone di Avio Aero nelle sedi di Brindisi, Pomigliano e Rivalta di Torino - tre realtà territoriali con proprie peculiarità e caratteristiche ben definite - hanno deciso di fare un percorso comune di consapevolezza sull’inclusione concentrandosi su ciò che unisce tutti, sebbene ciò avvenga con sfumature linguistiche locali ed espressioni verbali tipiche: ovvero, attraverso le parole che usiamo.
Partire dalle parole che si usano e dal modo in cui si usano per generare comportamenti virtuosi è sicuramente un approccio sfidante in quanto il linguaggio è l’espressione stessa della cultura e dei suoi retaggi. I tre stabilimenti Avio Aero hanno dunque deciso di farsi accompagnare in questo loro viaggio da un esperto, Igor Suran, Direttore Esecutivo di Parks Liberi e Uguali. Parks è un’associazione che aiuta le aziende, piccole o grandi, a comprendere e realizzare al massimo le potenzialità di business legate allo sviluppo di strategie e buone pratiche rispettose della diversità.
Croato di nascita e italiano di adozione, Igor ha messo a disposizione delle persone di Avio Aero non solo la sua esperienza nell’ambito delle politiche di inclusione, ma anche a sua competenza multilingue che gli ha permesso di elaborare un percorso per far sì che le parole che diciamo e sentiamo non siano divisive ma diventino elementi di coesione.
Igor ha visitato di recente le sedi di Borgaretto e Rivalta di Torino, dopo essere stato a Pomigliano e Brindisi, per incontrare i dipendenti durante una serie di eventi e riflettere insieme a loro su quali sono le funzioni del linguaggio e perché il linguaggio inclusivo deve far parte del nostro percorso aziendale di equità e inclusione. Ma anche di quello umano individuale.
La nostra conversazione con Igor ci ha aiutati anche a inquadrare meglio il tema dell’influenza del linguaggio sull’identità di genere. Spesso, infatti, ci si chiede se l’uso dell’asterisco, dello schwa o di altri segni che annullano le desinenze maschili e femminili sia un tentativo di cambiare la lingua per una reale necessità oppure sia solo formalismo. O se esista persino il rischio che si annullino le nostre identità. “Io non vedo questo rischio. La mia identità, le mie identità non saranno cancellate, annullate, messe in dubbio. Io sarò sempre io e troverò nell’asterisco o nello schwa quel significato che mi rispecchia”, spiega Igor.
“Però usandole si dà la possibilità a tutte quelle persone che fino ad oggi non si sono riconosciute nel linguaggio tradizionale di sentirsi rappresentate. La polemica è quindi superflua, perché non si toglie niente a nessuno, anzi si dà qualcosa in più. Certo, mi rendo conto che pronunciare l’asterisco non è semplice, alcuni lo pronunciano “tutt” altri “tutu” e ancor più complicato è usare lo schwa… Dal momento che non sono un linguista non posso pronunciarmi su quali termini potranno un giorno sostituirli, però posso affermare che questa attenzione è prima di tutto nei nostri pensieri perché il linguaggio è il mezzo per esprimere il pensiero e, se c’è la volontà di includere chi non si riconoscere nel maschile e femminile, possiamo usare tali forme di espressione”.
Igor ha inoltre potuto commentare anche l’obiezione sollevata da molti che certi gruppi, o i loro argomenti, possano essere più rappresentati o protette di altri. “Parlare di questi argomenti non significa creare delle categorie di persone privilegiate, farle diventare più importanti, più libere…l’obiettivo è quello di farle diventare ugualmente importanti, privilegiate o libere. Dobbiamo ricordarci che questi temi fino a non molto tempo fa erano un tabù (come lo sono tutt’ora in alcuni paesi e ambienti specifici, talvolta molto vicini a noi) e che parlare, dare un nome alle cose, invece, significa farle esistere nella realtà”.
È netta anche la posizione di Igor rispetto al cambiamento di mentalità e cultura: “a volte può sembrare che in determinati periodi tutti i progressi che si sono ottenuti si fermino in attesa di ripartire…in realtà per quanto lenti i movimenti culturali continuano a produrre degli effetti che nel tempo daranno i loro frutti. La velocità non è il solo indicatore del cambiamento ma anche l’intensità e la capacità di attivazione di tutti gli attori: famiglie, scuole, imprese, società civile. Questi ambiti sono fortemente correlati: ad esempio, una certa fascia di popolazione più adulta in famiglia può non avere sentito parlare di questi temi ma se in azienda se ne parla li porterà anche a casa e potrà gestire, ad esempio, le conversazioni con i propri figli che – in quanto giovani - invece ne hanno maggiore contezza. Per questo è importante portare avanti il lavoro di sensibilizzazione in azienda, nelle scuole e in tutti gli ambiti in cui sia possibile”.
"Per quanto lenti, i movimenti culturali continuano a produrre degli effetti che nel tempo daranno i loro frutti; la velocità non è il solo indicatore del cambiamento ma anche l’intensità e la capacità di attivazione di tutti gli attori: famiglie, scuole, imprese, società civile"
Durante i workshop, il messaggio chiave ruotava intorno alla capacità di ascolto. “Creare le condizioni per l’ascolto è fondamentale” dice Igor, “per ascoltare ci deve essere la volontà di parlare, di aprirsi e solo in un ambiente sicuro e libero ciò può avvenire. Solo creando una zona di sicurezza in cui si possa sviluppare l’empatia è possibile avviare un dialogo e superare i pregiudizi”.
Oltre ad essere incontri molto partecipati, le conversazioni sul linguaggio sono state anche molto interattive. Impiegati e operai si sono trovati a riflettere per la prima volta sulle parole, anche quelle di uso comune, come ad esempio “famiglia” e sul loro significato più ampio e moderno, e su come, in assenza di un registro comune, possano perdere l’armonia del loro significato.
“Non si può dare per scontato che quello che ciascuno vive e sente sia condiviso allo stesso modo da un’altra persona” ha concluso Igor, “applicare i propri assunti è l’errore più grande. Se vogliamo parlare con parole inclusive dobbiamo essere certi che nella mente delle persone queste parole abbiano lo stesso significato e questo si può fare solo con l’abitudine al confronto. Solo così le parole genereranno ponti, non muri”.