Culture
La virtù sta nel mezzo
Un’intervista con il rettore del Politecnico di Torino, Guido Saracco andando attraverso il complesso e dibattuto rapporto tra sviluppo tecnologico, uomo e società.
Nov 2022
A margine della terza edizione di Biennale Tecnologia, che ha visto partecipare oltre 50 mila persone nella quattro giorni organizzata dal Politecnico di Torino, abbiamo colto l’opportunità di una conversazione con Guido Saracco. Dalla tecnologia, alla società civile tramite il ruolo fondante dei giovani e dell’istruzione, fino alla sostenibilità: il rettore del Politecnico di Torino e presidente di Biennale Tecnologia ha toccato alcuni dei principali temi della kermesse dedicata, per questa edizione, ai “Princìpi”, intesi come nuovi inizi e fondamenta sulle quali costruire un mondo migliore, più giusto e democratico.
Recentemente ha parlato dell’innovazione tecnologica come “abilitatore per ridurre le diseguaglianze sociali”. In che modo questo può avverarsi?
“Può avverarsi solo se è indirizzata da una politica volta a fare questo. Normalmente, è capitato che uno sviluppo economico fosse basato solamente su leggi di mercato, con tecnologie sviluppate per essere funzionali solo a quest’ultimo. Un esempio sono le aziende big tech che gestiscono i dati per il profitto – al netto delle aziende cinesi che hanno logiche diverse per la sorveglianza e il monitoraggio. Questo non fa che aumentare distanze e diseguaglianze sociali, perché ciò che capita è che la logica del mercato porta ad accentrare la ricchezza nelle mani di pochi e – se non corredata da misure per tutelare la società – a impoverire sempre di più le persone. La naturale tendenza verso le leggi del mercato ha portato a un lento retrocedere del pubblico in favore del privato: basti pensare alla sanità e a quanto ne abbiamo fatto le spese durante la pandemia da Covid-19, per altro in modo diverso da regione a regione. Quelle che sono andate peggio sono state proprio le regioni che, negli anni, hanno ridotto la presenza pubblica in favore di quella privata, in nome di una competizione ‘salvifica’ di dire ‘vinca il migliore’. Questo evidentemente fa solo aumentare le diseguaglianze sociali”.
Che ruolo hanno dunque le tecnologie?
“Le tecnologie sono un facilitatore, uno strumento fatto dall’uomo per l’uomo. Perché queste aiutino a ricucire le diseguaglianze è necessario che la politica le indirizzi e non solamente il mercato. Anche per questo motivo si è cominciato a parlare di obiettivi ESG, ovvero ambiente, società e governance. Questo è importantissimo, perché classificare i prodotti e i processi industriali sulla base dell’impatto ambientale e sociale rende possibile generare un vantaggio per la società. Se questo entra nel DNA di ogni azienda automaticamente la riduzione delle diseguaglianze andrà di pari passo con lo sviluppo economico e tecnologico. Senza contare che in certi settori - come quello dei beni comuni (energia, acqua, rifiuti, sanità, ecc.) - se vogliamo un livello di qualità gestionale più accettabile, lo Stato deve essere più intraprendente: ad esempio, introducendo politiche volte ad accrescere le competenze, fluidificare la burocrazia e guidare l’innovazione tecnologica, guardando ovviamente al domani per non restare obsoleti sprecando inutilmente risorse. È necessario ridurre la burocrazia e valorizzare la responsabilità delle persone che attuano i processi, non colpevolizzandole in caso di errori; passare da una burocrazia weberiana a una fluida, che dia valore alle persone incentivandole”.
Come lei ben sa, lo sviluppo di tecnologie innovative è anche un tema centrale per la decarbonizzazione del settore del trasporto aereo. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, secondo lei, che ruolo deve rivestire l'università italiana?
“Noi ci siamo interrogati su questo e abbiamo effettuato un’analisi per vedere come i temi ESG sono toccati nei nostri percorsi formativi e nelle attività di ricerca. Dopo di che la promozione di un maggior orientamento per la risoluzione di questi obiettivi di sviluppo globale, ha portato alla realizzazione di una struttura affidata all’ex direttore del dipartimento sostenibilità dell’Joint Research Center dell’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). A lui abbiamo affidato il gruppo “Foresight” del Politecnico allo scopo di fare studi di impatto, che orientassero la ricerca e la didattica verso i temi di sostenibilità, anche con la partecipazione di scienziati dell’uomo e della società, economisti e giuristi. Gli studenti lavoreranno in gruppo per affrontare le 6 grandi sfide globali: il cambiamento climatico, la rivoluzione digitale delle città e delle imprese, la riduzione delle diseguaglianze, la salute del futuro, l’acqua e l’energia. Sfide che riguardano temi primari per la politica. Un percorso che è imprescindibile se vogliamo che un ingegnere capisca quali sono le problematiche da risolvere con la tecnologia. Certo, è necessario anche prevedere l’impatto che ha ogni tecnologia. Politici, scienziati, professori, ricercatori e industriali devono collaborare insieme aiutati da corpi intermedi – come, ad esempio, le fondazioni bancarie diventate intraprendenti in questi progetti di finanziamenti – per trovare le soluzioni tecnologiche idonee. Tutti gli estremismi, da quelli più filosofici – come la decrescita felice – a quelli tecnocratici – con una fiducia cieca nei confronti dell’innovazione tecnologica – sono sbagliati”.
Come si trova il giusto compromesso?
“La via di mezzo è la cosa più difficile da trovare, perché non la trovi diventando Leonardo Da Vinci – ovvero onnisciente – ma è necessario avere un contesto più ampio sul mondo che ci circonda e per questo motivo abbiamo attivato corsi di etica, di sociologia, di diritto e di economia ai nostri ingegneri. È cruciale mettere insieme le persone che si occupano dello studio dell’uomo e dell’innovazione tecnologica per ideare nuove soluzioni, comunicarle meglio e renderle maggiormente aderenti alla società”.
"È cruciale mettere insieme le persone che si occupano dello studio dell’uomo e dell’innovazione tecnologica per ideare nuove soluzioni, comunicarle meglio e renderle maggiormente aderenti alla società"
La tecnologia è sempre più diffusa e questo genera un maggiore interesse da parte dell’intera società nonostante la sua complessità intrinseca. Secondo lei, come si può rendere il concetto di sviluppo tecnologico più comprensibile?
“La gente comune colloca la tecnologia in una dimensione di disponibilità parziale ad appannaggio dei ricchi e per questo ne teme i riflessi sociali. Per superare ciò dobbiamo, invece, spiegarla bene, coinvolgere le persone e far vedere che ne proponiamo un uso etico e mirato della tecnologia, per risolvere le sfide più complesse e accrescere il benessere delle persone, svincolandole dalle logiche di mercato. Noi scienziati dobbiamo divulgare, ma anche insegnare elementi di tecnologie e di sviluppo tecnologico ai decisori politici, ai policy maker – ovvero chi traduce l’indirizzo politico in legge – a chi si occupa del terzo settore, ai manager industriali e, infine, a chi fa cooperazione internazionale. Innovazione si fa tutti insieme, non per compartimenti stagni”.
Tra il Politecnico di Torino e Avio Aero vi è uno storico rapporto di collaborazione nella ricerca e sviluppo di nuove tecnologie come nella formazione dei nuovi talenti, cosa significa questa partnership per voi?
“Con Avio Aero abbiamo una collaborazione storica e molto importante. Come Politecnico di Torino abbiamo un “cavallo da battaglia” nell’additive manufacturing per il quale – anche grazie alla partnership con Avio Aero – ci siamo strutturati per diventare un punto di riferimento nazionale su questa tecnologia. Abbiamo investito non solo nella ricerca, ma anche nei test sulle innovazioni che poi possono essere portate all’interno delle imprese. Torino è una città orientata verso la ricerca in ambito aerospaziale non senza una ragione avendo, tra le altre, ben radicate nel suo tessuto industriale Avio Aero, Leonardo, Thales Alenia Space e Altec”.
Photos in page are courtesy of Politecnico di Torino. Credits Michele D'Ottavio.